L’evitabilissima sconfitta del Genoa a Lecce suggerisce una manciata di considerazioni.
I rossoblù, sinora, hanno vinto solo all’Olimpico, a capo di una prestazione fantastica sono ogni aspetto: approccio felice, cinismo nel trovare il vantaggio, fase difensiva senza una minima crepa. Nelle successive esibizioni è bastato qualche piccolo intoppo per compromettere il risultato finale. Francamente, se per imporsi occorre la gara perfetta siamo freschi. Quante volte in un campionato può verificarsi un evento del genere? Il Grifone deve imparare a sfangarla anche quando non tutte le cose filano a meraviglia.
Seconda annotazione. Abbiamo legittimamente esaltato le scelte di Gilardino contro il Napoli, quella sua rivoluzione tattica alla base di una prova eccellente per almeno 70 minuti. Con altrettanta chiarezza dobbiamo evidenziare la sua topica nella formazione iniziale in Salento. Non un addetto ai lavori, non un tifoso, proprio nessuno avrebbe scelto Martin escludendo Vasquez. Il mister alla vigilia aveva chiarito che le sue decisioni sarebbero anche dipese dalle caratteristiche dei rivali. Premessa commendevole, ma se poi nella zona battuta da Almqvist, uno dei migliori dribblatori del campionato, si va a piazzare Martin, notoriamente difensore distratto e inaffidabile (si tratta soprattutto di un esterno nel centrocampo a cinque), non ci si può sorprendere se si rimane in dieci dopo neppure mezza partita. Vasquez era stato tra i protagonisti in casa della Lazio e non ha mai fallito una prova: passi lasciarlo fuori – fresco di un viaggio intercontinentale – contro il Napoli, ma allungare l’ostracismo anche in Salento è stata una decisione incomprensibile, pagata a caro prezzo.
La fase difensiva da qualche settimana è esente da macchie gravi, ma c’è sempre un episodio a vanificare l’egregio lavoro svolto: a Torino la dormita di Hefti (e in parte di Kutlu), col Napoli le prodezze di Raspadori e Politano e gli innesti fallimentari del Grifo in corso d’opera, in Salento la sfigatissima deviazione di Frendrup su un tiro diretto a centro porta. Come dire che il Genoa fa sempre trenta e raramente trentuno e almeno un gol lo becca.
Proseguiamo con una domanda retorica: è un mero caso che le reti al passivo arrivino sempre nel finale, quando la coppia Badelj-Strootman inizia ad accusare gambe pesanti e idee annebbiate? Risposta secca: no. Mister D’Aversa ha indirizzato fin dall’inizio il gioco giallorosso verso i due califfi per stancarli e alla distanza ha tratto i frutti.
Inevitabile, a questo punto, agganciarsi all’assoluta modestia dei cosiddetti ricambi a disposizione di Gilardino. Per mesi abbiamo un po’ tutti rimarcato la necessità di acquistare un surrogato del croato e anche un vice dell’olandese. È arrivato Kutlu, che evidentemente non è nelle grazie di Gila, il quale il Puglia non lo ha schierato neppure nei minuti conclusivi. Per un mese si è corteggiato Crespo: lui sì sarebbe stato un innesto “ad hoc”, ma la società ha scelto la soluzione più risparmiosa, e si vedono i risultati.

Proprio il mercato condotto dalla 777 merita un approfondimento. Nulla da eccepire – ci mancherebbe – su Retegui, ma se non lo si rifornisce a dovere è come dotarsi della Colt più efficace del West e dimenticarsi di comprare le pallottole. Sugli altri presunti rinforzi, meglio stendere un pietoso velo. Martin per ora è un punto di debolezza. De Winter alterna cose egregie ad ingenuità e i due innesti di lusso Maljnovskyi e Messias, seppur per motivi diversi, non sono ancora pronti a rendersi utili. E quando lo saranno (i tempi si stanno allungando…), saprà Gila trovare loro una collocazione acconcia? Auguriamocelo di cuore, poiché – Lecce docet, ma anche Torino… – la manovra offensiva rossoblù non potrà ridursi ad un “palla a Gudmundsson e si arrangi”, con i centrocampisti eternamente appiccicati ai difensori. Sprecare così le potenzialità del bomber azzurro sarebbe davvero un peccato mortale.
PIERLUIGI GAMBINO