Un numero vale come una consacrazione: 575. Sono i minuti (franco recuperi) di imbattibilità della porta genoana. E già che ci siamo aggiungiamo uno “zero”, che si riferisce alle reti incassate da Martinez a Marassi durante la fiorentissima era Gilardino. Prima che il biellese venisse promosso al timone della prima squadra, le gare a Marassi rappresentavano il tallone d’Achille. Ebbene, col nuovo mister in sella, solo il Pisa ha strappato un punto al Ferraris, diventato improvvisamente una fortezza inespugnabile.
Il Genoa non appaga gli esteti, ma è un diesel che non tradisce mai. Le sue partenze sono spesso ansimanti, senza un guizzo, lente ed impacciate: una carburazione problematica. Prima o poi, però, arriva il gol liberatore, frutto non di un assalto all’arma bianca, ma di un ragionato possesso palla e soprattutto di un pressing avanzato, che consente di recuperare palla non lontano dalla porta avversaria. Così è successo anche nell’anticipo con la Reggina: sfera intercettata a centrocampo da Gudmundsson, che avanza e cede a Sturaro (il centrocampista più vocato all’offesa), abile a cedere a Coda, il giustiziere. Le squadre mature operano così: corrono rarissimi rischi difensivi e attendono l’errore o la disattenzione dei rivali per passare all’incasso.
A quel punto, il più è fatto. Che provino, gli antagonisti a scalfire la corazza genoana. I calabresi, ritemprati ma non troppo dopo una lunga serie di rovesci, hanno impegnato con due rasoterra Martinez e proprio all’ultimo sussulto lo hanno obbligato ad un prodigioso intervento, che è valso due punti pesantissimi. Il pari sarebbe stato una beffa, tenendo conto degli sporadici tentativi operati dagli amaranto e dalle palle-gol – più del doppio – costruite dai rossoblù. Ne ricordiamo due a fine primo tempo (sciupate da Coda e Badelj) e una ad inizio ripresa (Ilsanker e Vogliacco più jellati che colpevoli). Mettiamoci una volatona di Gudmundssson, con parata del portiere Colombi e la traversa centrata nel finale da Badelj su punizione. La maggior caratura della Reggina rispetto alle ultime formazione ospitate ha impedito di mettere in ghiacciaia i tre punti prima del fischio finale, ma contava vincere, non stravincere, e la banda del Gila ha rispettato i programmi.
Regolarità, solidità e costanza marchi del Genoa targato Gilardino
La regolarità è l’elemento qualificante di un undici che sa regalare spettacolo autentico solo in qualche contropiede, ma è una formidabile macchina da punti, guidata da un tecnico pragmatico e lungimirante e presa per mano, sul campo, da una pattuglia di vecchietti che raramente sbarellano. Splendida (e non la prima…) la prestazione del metronomo Badelj, sostanzioso l’apporto di Strootman, gagliarda la prova di Sturaro (macchiata però dall’imperdonabile raptus che gli è costato l’espulsione da giocatore già sostituito), costante il contributo di Criscito (a parte la distrazione conclusiva su Canotto). Il solo Ilsanker non ha entusiasmato, ma la lunga assenza dal terreno di gioco induce a perdonarlo.

L’ultimo commento è dedicato all’ineffabile Aureliano (col quale il Genoa non aveva mai vinto), che fortunatamente si sta avviando a concludere una grigia carriera di direttore di gara. È un miracolo che non abbia inciso sul risultato, ma ne ha combinate di cotte e di crude, in specie nel primo tempo, quando ha fischiato come una vaporiera solo per interrompere le offensive rossoblù. Nella ripresa ha sbagliato in modo più equanime, perdendo però la tramontana e consentendo una serie infinita di scorrettezze senza intervenire né mostrare il cartellino giallo. La rissa nel recupero sarebbe stata evitata con un fischio a punire due interventi durissimi a danno dei giocatori genoani. Prima della chiusura, dopo che i buoi erano scappati, le ammonizioni assurde a due calciatori reggini per falli normalissimi, a conferma di una direzione schizofrenica e davvero inaccettabile. Cosa aspettano i caporioni degli arbitri a toglierlo di mezzo per manifesta incapacità?
PIERLUIGI GAMBINO