Il Genoa è questo. Non una macchina da corsa, capace di raggiungere velocità supersoniche, ma un’auto solida, comoda, affidabile, che non tradisce mai. In spregio al “crucco” Blessin, è la nuova immagine che ricorda la robustezza tedesca, la capacità di rimanere sempre sulla strada maestra, la tranquillità.
La novità delle ultime gare è il gol nel primo tempo, garanzia quasi assoluta di successo per una squadra che da quasi 750 minuti non incassa reti nel suo tempio marassino. Le mezze partite senza sapore hanno lasciato spazio ad avvii perentori, approcci in grado di spaventare gli antagonisti.
Ai rossoblù basta una rete per mettere in banca i tre punti, e pazienza se non sempre può riuscire la beneficiata come è successo a spese di Spal e Cosenza. Sino al 94′ del match contro la Ternana, il popolo genoano è rimasto in apnea, timoroso che si materializzasse la beffa: un tributo accettabile per poi festeggiare tutti assieme la promozione.
Il Grifo è squadra matura, quadrata, che sa alla perfezione dove vuole arrivare. È impastata di esperienza, sagacia tattica, personalità: tutte doti emerse sia in un primo tempo dedito – dopo il vantaggio – a curare il possesso palla, sia nella ripresa, quando gli umbri, riveduti e corretti da mister Lucarelli, sono diventati più organizzati e intraprendenti. Squadra da bosco e da riviera, diremmo a Genova: capace di comandare a lungo il match e poi di adattarsi alle nuove esigenze di carattere difensivo. Gli ipercritici possono soltanto scorporare un difettuccio: l’incapacità di chiudere la partita in anticipo, figlia di una carenza di cinismo che, d’altronde, accompagna da sempre il team di Gilardino. Ma quando la porta di Martinez resta chiusa a tripla mandata, anche la vittoria di misura regala gioia e fiducia.
La sensazione è che il Genoa, all’approssimarsi della resa dei conti, sia cresciuto in concretezza e in consapevolezza dei propri mezzi. Un progresso specchiato anche nella scelta dell’allenatore di affidarsi alla vecchia guardia, anche a costo di escludere dai titolari Frendrup, il miglior mediano della cadetteria lungo tutto il girone di andata. Intendiamoci, è sempre Gila a dettare le regole, ma dentro al rettangolo di gioco comandano Badelj, Strootman, Sturaro, che non imporranno mai ritmi forsennati ma garantiscono possesso palla e – supportati da tre difensori senza pari nella categoria – soffocano qualsiasi avversario.
Ovvio, a quei tre – ricchi di anni e di acciacchi – non si può anche chiedere di correre, scattare e tamponare per 90 minuti. Ed ecco che lo stesso Frendrup e Jagiello sono pronti a subentrare, a ripresa in corso, quando occorre freschezza. Cambi ritardati? Forse sì, ma anche quando la stanchezza ha iniziato a fare capolino e l’uscita forzata del vivacissimo Haps ha tolto dinamismo il Genoa non ha mai sbandato.
È mancato solo il colpo del ko, che tuttavia (in specie nel finale ma anche in apertura di ripresa, con la volatona di Sturaro), è stato sfiorato più volte, ma la sensazione è che appena Ekuban potrà assicurare un impiego continuativo, anche questa lacuna sparirà. L’ultimo passo è delineato: trasformare in oro la fase di contropiede, per capitalizzare quelle fasi future in cui l’avversario dovrà sbilanciarsi e concedere spazi invitanti.
Sorprende in positivo la regolarità di questa squadra, che negli ultimi mesi si è concessa una sola pausa, a Parma, per il resto rispettando la media inglese e strameritando sempre quanto ottenuto sul campo. Il Bari – tenuto in piedi anche dagli arbitri sia col Venezia, sia ad Ascoli – è dotato di talento ma non così compatto e neppure continuo. Dista tre punti, che non sono un’enormità ma neppure un’inezia per un Genoa così autoritario che – come nelle gare ufficiali – ha solo il compito di conservare il vantaggio senza tremare.
PIERLUIGI GAMBINO