Della Samp di Stankovic si salva l’impegno, ma classifica e penuria offensiva la condannano

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Bastasse la volontà, la Samp targata Stankovic veleggerebbe in zona Champions. Dall’avvento del serbo i blucerchiati hanno raramente steccato in fatto di strenuo impegno, abnegazione, volontà. Non è un vacuo buonismo quello che induce i supporters doriani a chiamare ad ogni fine gara sotto la gradinata – sia in casa sia in trasferta – i propri beniamini per un fervido applauso, ma uno slancio spontaneo che odora di ringraziamento. Il feeling tra tifoseria e squadra non è mai venuto meno e costituisce l’unico filo, seppur sottile, che tiene in vita la speranza respingendo la rassegnazione.

Cosa rimproverare ai ragazzi in blucerchiato? Poco o nulla, se escludiamo ovviamente il comportamento irritante di Sabiri, presto beccato sonoramente dagli spalti: tanto da spingere l’allenatore a spedirlo in panca dopo neppure mezza partita come fosse un calciatore infortunato. Mister Deki sapeva di rischiare un atteggiamento ostile da parte del pubblico, e ne era conscio anche il giocatore, il quale – invece di sprigionare un doveroso orgoglio e far rimangiare ai suoi detrattori il diffuso scetticismo – ha fatto di tutto per dare loro ragione. D’altronde, il tecnico non aveva schierato il marocchino per una provocazione ma per disperazione, data l’assoluta mancanza di calciatori offensivi. Ed ora, tutti a chiedersi se non sarebbe stato preferibile spedire già a gennaio Abdelhamid in Toscana. Una decisione che, se assunta, avrebbe provocato critiche uguali e contrarie.

Il “caso Sabiri”, comunque, non può distrarre più di tanto dall’analisi complessiva di una Samp che ha speso ogni energia costruendo nel primo tempo una conclusione centrale di Leris e una svirgolata in piena area di Augello e nella ripresa un rasoterra di Quagliarella finito sull’esterno rete, un tentativo impreciso di Zanoli ed una traversa scheggiata da Cuisance, che però era in fuorigioco. Una produzione insufficiente per ridurre alla ragione una Salernitana che ha fatto il suo senza infamia e senza lode, andando lievemente più vicina al bersaglio ma confermando tutti i suoi limiti.

Insomma, anche il campo ha dimostrato che si trattava di una partita abbordabile: a patto, ovviamente, di disporre di una potenza di fuoco appena passabile. Purtroppo, così non è: assenti Gabbadini (pur sempre il miglior bue della stalla), l’anemico Lammers e il rifinitore Djuricic per infortunio, Stankovic ha dovuto inventare di sana pianta la prima linea ricorrendo ad un Jesé Rodriguez lontano anni luce da una condizione fisica decente e ad un Cuisance che si batte leoninamente ma non è un fuoriclasse. A supporto, dopo l’uscita di Sabiri, è stato avanzato Leris, non certo uno sfondatore.

Sarebbe servito il Quagliarella di cinque anni fa o anche il De Luca pre-infortunio, ma i due, gettati in campo nel finale all’insegna del “proviamone un’altra”, sono miseramente affondati al pari dei compagni. Altre squadre spuntate si sono affidate in zona gol a centrocampisti e difensori, ma Rincon è solo un egregio recuperatore di palloni, Winks può illuminare ma non concludere a rete, Augello si conferma splendido crossatore e nulla più e tra le guardie scelte il solo che avesse mostrato confidenza col tiro è Colley, partito per altri lidi a beneficio delle casse societarie.

Prima o poi – considerando che a Marassi arriveranno Cremonese, Verona e Spezia –  si registreranno l’agognato successo casalingo, mai festeggiato sinora, e il primo gol casalingo su azione dell’era Stankovic, ma un singolo exploit, o anche due, non basterebbe per scongiurare il destino peggiore.

Pure il quadro psicologico probabilmente incide in questo zero assoluto. La necessità assoluta di vincere e le difficoltà economiche del club rappresentano un terribile combinato disposto, che senz’altro può condizionare il rendimento dei calciatori, esseri umani soggetti a sentimenti cangianti in base alla realtà e alla necessità. Guai, però, ad issare bandiera bianca: lo impone la serietà e lo consente ancora l’aritmetica.

Intanto, sul fronte club, si assiste al forsennato girotondo di illaziini, spesso incontrollate, riguardo a nuovi soggetti interessati o a improvvisi ritorni di fiamma. Un tourbillon che finisce per frastornare i tifosi doriani e per alimentare effimere illusioni. Tutto può succere, ma a rigor di logica una via – la preferita – sembra quasi impraticabile: l’acquisto della società da parte di un singolo privato, pur se capitano di una fiorente industria. L’ingente deficit accumulato (150 milioni, stornate le poste attive di bilancio) e la delicatissima, quasi compromessa situazione sportiva possono soltanto attirare un fondo straniero.

                      PIERLUIGI GAMBINO

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