Stavolta la sorte non è stata nemica, ma la Samp non ha saputo sfruttare quell’insolito aiuto ed è precipitata verso il baratro. Gli effetti benefici del meritato pareggio con l’Inter si sono immediatamente dissolti: contro il Bologna sono riaffiorati tutti i difetti che i blucerchiati si portano appresso ormai da anni. Questa squadra può anche cambiare qualche interprete ma resta psicologicamente fragilissima: neppure l’iniezione di fiducia garantita da un combattente come Stankovic ha guarito la squadra da un’antica, apparentemente inguaribile, sindrome di carattere mentale. Esaltarsi al cospetto delle grandi, quando tutto quanto arriva oltre la sconfitta è ben accolto, risulta comodo. Concentrarsi e vincere la paura quando la posta in palio è più importante, invece, rappresenta un problemone.
Sì perché non regge la tesi avanzata dal mister secondo cui i suoi ragazzi avrebbero pagato la fatica della partitissima di lunedì scorso. Il tempo a disposizione era più che sufficiente per assorbire le scorie, nella testa e nelle gambe, di quell’impegno arduo e presentarsi in una sfida fondamentale con le energie giuste per guadagnare la prima vittoria casalinga stagionale. Invece la Samp è apparsa molle sin dai primi minuti, ed è bastato un Bologna ordinato e organizzato ma non certo propenso ad alzare il ritmo, per tenere a bada un avversario inerme, scombiccherato, passivo, come se la rassegnazione avesse preso improvvisamente il sopravvento.
Il primo tempo offerto dai blucerchiati è stato incolore, insapore, vuoto di contenuti. Certo, se Gabbiadini avesse concretizzato quella palla-gol in apertura invece che spedire la sfera nel cuore della Nord, saremmo forse a commentare un altro tipo di match e di risultato, ma non ci si può aggrappare ad un episodio. Il Bologna ha trovato il gol senza insistere più di tanto, in uno dei primi tentativi, ma l’aveva legittimato in precedenza. O meglio, la Samp nulla aveva fatto per giustificare una parziale risultanza favorevole.
Stankovic ha effettuato nell’intervallo tre cambi, ma senza che la musica diventasse più orecchiabile. Senza il raptus del gigante Lucumi, reo di un abbraccio indebito e inutile ai danni di Gabbiadini, la Samp non sarebbe mai pervenuta al pareggio. Un lampo di fortuna seguito immediatamente da un secondo penalty, per fallo di mano. E qui il tecnico doriano ha sbagliato a non intervenire, lasciando che i giocatori si smazzasssero autonomamente la faccenda riguardante il tiratore, ma – anche conoscendo l’emotività di Sabiri – sarebbe stato preferire cambiare rigorista.
Si dirà: quando le annate sono così dispari, non si sfrutta neppure questo tipo di regali dalla sorte, fattostà che il vantaggio pur immeritato ma legittimo, è sfumato per l’errore del marocchino (più che per i riflessi del numero uno ospite) e il pericolo scampato ha messo le ali a chi aveva i mezzi per volare verso la vittoria.
Va aggiunto che il 2-1, maturato in avvio di recupero, ha trovato la complicità forse decisiva di Murru, che invece di concedere al mancino Orsolini un tiro col piede… sbagliato, lo ha indirizzato verso la soluzione più gradita.
Il pari non avrebbe stravolto positivamente le prospettive blucerchiate, ma è indubbio che anche a livello psicologico la sconfitta è una mazzata dalla quale non sarà semplice rialzarsi. Vero che il campionato è ancora lungo, ma buttare alle ortiche la prima delle finalissime marassine in calendario spalanca pessimi presagi.
Di perdere col Bologna ci poteva anche stare, ma a capo di una prestazione di ben altro livello. Stavolta la Samp non si è presentata in campo, difettando soprattutto nel carattere e nella rabbia, caratteristiche indispensabili ad una squadra che intenda togliersi dalle sabbie mobili e realizzare una rimonta in classifica, improba ma non certo proibitiva. Il cerchio si è stretto ulteriormente sino a diventare un cappio al collo di un undici che non ha più troppe chances per invertire il trend. E se le partite più complicate sono proprio quelle con antagonisti abbordabili, come si può guarire dal “mal di Marassi”?
PIERLUIGI GAMBINO