Renato Curi: una morte ingiusta

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Era il 30 ottobre 1977, a Pian di Massiano il Perugia capolista al pari di Milan, Genoa e Juventus dopo cinque giornate ospitava la Juventus di Trapattoni. Era il Perugia di Ilario Castagner, di un giovane Walter Alfredo Novellino, talentuoso centravanti arretrato di quell’undici straordinario che faceva sognare una regione intera. Le due mezzali erano agli antipodi, quanto a conformazione fisica: con il numero dieci giocava il lungo Vannini, un metro e novanta, l’altro era il piccolo Renatino Curi, detto Gerd, visto che il suo idolo era il centravanti tedesco Muller. Un settepolmoni nativo di Ascoli, classe 1953, che Castagner aveva voluto fortemente e che era entrato nel cuore dei tifosi quando il 16 maggio dell’anno precedente un suo destro al volo all’ultima giornata aveva superato Zoff, togliendo lo scudetto ai bianconeri e consegnandolo al Toro di Radice. La vigilia del match mister Ilario aveva sfogliato la margherita se mandare in campo il baffuto numero otto reduce da un problema fisico ma in ritiro, la mattina, “Gerd” disse al tecnico “Me la sento, non posso mancare a questa partita!”.

Era una giornata da lupi, il cielo sopra Perugia era nero e gonfio di pioggia quando il sig. Menegali fischiò l’inizio della partita: pioggia a catinelle, una partita per uomini veri , una di quelle che piaceva ad uno come Curi. Al quinto minuto della ripresa, sullo zero a zero, c’è una rimessa laterale per gli umbri affidata a Vannini e Renato nel cerchio di centrocampo si accascia improvvisamente al suolo, compagni ed avversari gesticolano freneticamente, entrano in campo i sanitari e si intuisce che si sta compiendo un dramma sportivo e soprattutto umano; non servono il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, il centrocampista esce in barella sotto la pioggia sempre più forte ma all’imbocco del tunnel che porta agli spogliatoi sbarra gli occhi e va in arresto cardiaco, inutile la corsa al Policlinico dove il calciatore arriva già cadavere.

La fredda autopsia reciterà “malattia cronica del cuore”, un cuore matto , come si diceva all’epoca, come quello del ciclista Franco Bitossi; per noi ragazzi e giovani calciatori di quegli anni settanta la vicenda di Renato Curi rimane un episodio indelebile e quando la sera arrivammo a casa e a novantesimo minuto il conduttore Paolo Valenti confermò la tragica notizia in tanti piangemmo per la morte sul campo di quel ragazzo con i baffi con la maglia numero otto del Grifone umbro cui è stato intitolato lo stadio perugino.

Marco Ferrera

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