Pierluigi Gambino analizza il momento in casa Genoa. Domenica arriva il Torino ed è fondamentale fare un punto per evitare il baratro.
Se sarà salvezza, sarà per grazia ricevuta. Sì perché la mano tesa domenica sera dalla Roma, vittoriosa sulla Juventus, probabilmente eviterà al Genoa un destino atroce ancorché meritatissimo. Sino alle 22 di ieri sera il variegato mondo rossoblù era immerso nel dramma più totale, prima che la fiammella della speranza diventasse un fuoco vigoroso, in grado di scaldare gli animi. Vero che Madama sta scricchiolando, ma non osiamo pensare che, potendo sfruttare l’opportunità di un successo casalingo sul Crotone, la festa scudetto venga rinviata all’ultimissimo turno.
Di questo Genoa non ci si può proprio fidare

Purtroppo, questo favorevole sviluppo, assai probabile, non basterà a salvare la ghirba. E qui il discorso si fa spesso. Serve un punto contro un Toro apparentemente senza più stimoli, ma nelle identiche condizioni psicologiche erano il Chievo tre domeniche fa e il già condannato Palermo. La triste verità è che non ci si può proprio fidare di questo Genoa mai così scalcinato, almeno nell’ultimo decennio. Neppure le condizioni di partenza più auspicabili e tranquillizzanti bastano a garantire un risultato positivo.
Con quale veste mentale si presenteranno i granata a Marassi? Con quella dimessa ostentata di fronte al Napoli o con quella impeccabile mostrata nel derby della Mole? Presumiamo con un abito a metà tra i due. Fuor di metafora, con l’animo di chi intende riscattare l’ancor fresca “manita” ma senza dannarsi l’anima più di tanto. Qualche anno fa, il pari sarebbe stato scritto nel marmo, ma sapranno tutti questi trentenni senz’anima che albergano nel club rossoblù imporre, con le buone o con le cattive, questo risultato ad avversari sulla carta più forti?
Non è solo colpo di Lamanna
Certo, ha del clamoroso l’opportunità persa a Palermo. Imperdonabile l’autogol di Lamanna poiché non si tratta di un errore di esecuzione, che può capitare anche ai fuoriclasse, ma di leggerezza, superficialità, scarsa concentrazione. Da qui a condannare a morte (calcistica, ovvio) il portiere ce ne passa. I suoi compagni – e la società – non sono meno colpevoli di lui.
Dopo il fattaccio c’era tutto il tempo per risalire la china, e l’atteggiamento palesato dai rosanero in una ripresa giocata al piccolo trotto, senza alcuna volontà di infierire, confortava le speranze di un riaggancio e, addirittura, di un sorpasso nel punteggio. Non si poteva però pretendere che i siciliani, imitando Lamanna, si buttassero da soli il pallone nel sacco.
Il Genoa, in quegli 80 minuti, ha esibito un campionario infinito di lacune. E’ quasi impossibile pensare che decine di cross e di corner non registrassero una sola deviazione da parte della squadra che attacca. Ai rossoblù mancano centimetri e atletismo, ma anche scaltrezza e prontezza di riflessi. Senza giocatori aitanti – fatta eccezione per Pinilla, lontano dall’essere proponibile in contesti così delicati – forse si doveva insistere con la manovra rasoterra, i classici uno-due e, magari, qualche bordata da fuori area. Già, ma per realizzare questo tipo di gioco occorrono qualità nello stretto, tecnica, potenza e fisicità, di cui non sono dotati i vari Rigoni Pandev, Laxalt (peraltro efficacissimo quanto a dinamismo), Cataldi, Simeone, Palladino, Lazovic: tutta gente alla quale non si può chiedere di risolvere un match con una giocata individuale.
Con certi presupposti, si può restare ugualmente a galla con l’arma del carattere, dell’abnegazione, della rabbia agonistica, ma anche sotto quest’aspetto il Grifo latita terribilmente. La speranza, da sempre l’ultima a morire, è che i tifosi rossoblù, già encomiabili contro l’Inter, riescano domenica a dare un’altra sonora svegliata a questi professionisti troppo pagati in relazione al loro valore reale. Serve uno stadio pieno e rigurgitante passione per dare a certi pedatori così modesti la forza necessaria ad evitare il castigo sommo. Ci sarà tempo per la resa dei conti o, perlomeno, per un doveroso chiarimento con la società. Sino a domenica sera si pensi tutti al bene comune, nell’ovvio auspicio di saper capitalizzare la ghiotta chance offerta dalla Roma.